Gli psicofarmaci
In realtà, la prima volta che mi sono stati prescritti farmaci per il cervello difettoso a farlo fu un pediatra. Alla visita di controllo del terzo mese di mio figlio arrivai con gli occhi spenti, le occhiaie e un bambino che non smetteva mai di piangere. Mentre cercavo di spiegargli la routine di mio figlio, alzando la voce per sovrastare le sue grida, scoppiai a piangere anche io. Lui mi guardò compassionevole e capì che il mio malessere andava oltre lo stress di accudire un bambino col reflusso gastroesofageo, molto oltre. Uscii dal suo studio con due prescrizioni: una per il reflusso di mio figlio ed una per la mia depressione post-partum.
Nessun suggerimento circa il contattare uno specialista della salute mentale, uno psichiatra o uno psicoterapeuta, solo quei farmaci scritti con la solita grafia incomprensibile su foglio bianco con timbro e firma.
Al tempo non avevo dimestichezza con gli psicofarmaci, non li avevo mai utilizzati prima. Un po’ mi spaventavano – molto più delle droghe, assurdo ma era così – ma l’idea che potesse bastare una pillola per guarirmi era francamente irresistibile. Entrai nella prima farmacia e comprai quello che mi era stato prescritto: una confezione di SSRI e una di benzodiazepine.
Il buon pediatra era andato sul sicuro e mi aveva prescritto due farmaci compatibili con l’allattamento. Peccato che non fossero compatibili con me.
Non solo le benzodiazepine si rivelarono perfettamente inutili per farmi dormire ma dieci giorni dopo aver cominciato l’antidepressivo provai il mio primo e ultimo irrefrenabile istinto suicidario.
Quando finalmente arrivai nello studio dello psichiatra – dopo un pellegrinaggio che ha incluso anche un neurologo tanto costoso quanto inutile – fu lui a spiegarmi che quelle molecole in particolare non erano per niente adatte a me.
Da un’indagine Eurispes, pare che 1 italiano su 5 assuma o abbia assunto psicofarmaci nel periodo post pandemia. I più gettonati sono ovviamente gli ansiolitici – le care vecchie benzos – seguiti dagli antidepressivi. Spesso questi farmaci non sono prescritti dal medico psichiatra ma dal medico di base o persino, come è capitato a me, da un pediatra o da un cardiologo. Qualunque medico, in Italia, può prescrivere qualunque farmaco, quando invece i farmaci che agiscono sul metabolismo cerebrale sono farmaci molto difficili da prescrivere e de-prescrivere e dovrebbero essere appannaggio solo degli specialisti. Questo per i possibili effetti collaterali anche gravi (vedi la mia ferma intenzione di buttarmi dalla finestra, che pare sia un possibile effetto paradosso del SSRI nelle prime settimane di assunzione) ma soprattutto perché saper strutturare una terapia farmacologica efficace è una capacità che si raggiunge dopo anni di studio e di pratica specialistica.
Inoltre, i farmaci non devono quasi mai essere assunti a vita: nella maggior parte dei casi, il loro utilizzo è circoscritto ad un determinato periodo, che può essere di settimane, mesi, qualche anno, dopo di che devono essere eliminati gradualmente. Dalle prescrizioni azzardate e dalle de-prescrizioni mancate dipende gran parte dello stigma legato all’assunzione di psicofarmaci, spesso visti come una droga pericolosa che causa assuefazione. I colpevoli non sono i farmaci ma le prescrizioni sbagliate.